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I luoghi della non violenza: intervista a Graziella Priulla e Lorenzo Gasparrini.

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“La mia definizione di femminista è questa: un uomo o una donna che dice sì, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio” (Chimamanda Ngozi Adichie, “Dovremmo essere tutti femministi”, Giulio Einaudi Editore).

A conclusione della IV Edizione delle #NoViolenceWeeks di Arca, la dottoressa Roberta Nasello, psicologa psicoterapeuta e Presidente dell’associazione, intervista Graziella Priulla, sociologa della comunicazione e della cultura e saggista, e Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista, formatore e autore.

Ci teniamo a condividere con tutti/tutte voi i contenuti di questa intervista, proprio oggi: il 25 Novembre infatti ricorre la

“Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”

Lavoriamo tutto l’anno sul tema della violenza di genere e della violenza sulle donne: quella del 25 Novembre non può rimanere una ricorrenza isolata ma è piuttosto l’ulteriore e sempre più urgente occasione per

  • sensibilizzare sugli stereotipi culturali che sottendono e sostengono la violenza;
  • porre attenzione, soprattutto negli uomini, sul fatto che la lotta riguarda ognuno/a di noi, in primis proprio loro.

Riteniamo che il contrasto alla violenza sulle donne richieda uno sforzo collettivo di assunzione di responsabilità condivisa: un dissenso forte e compatto. Ognuno/a di noi deve contribuire a creare in primis conoscenze, curiosità, domande sul fenomeno: leggiamo, approfondiamo, partecipiamo a conferenze e manifestazioni.

Arca, dalla sua fondazione e anche con la rassegna delle #NoViolenceWeeks, lavora per attivare

  • spazi- tempi per rendere donne e uomini consapevoli del modo in cui narrano Sè e l’Altro/a. La stanza di consulenza psicologica e psicoterapia può diventare un luogo di decostruzione dello stereotipo e di creazione di nuove conoscenze sul Sè; un tempo dove chiedersi quanto la cultura parli al nostro posto, ci definisca e/o ci limiti.
  • Ponti tra diverse realtà del settore o della società, al fine di sensibilizzare su linguaggi non tossici e di reale inclusività.

Abbiamo deciso di confrontarci con Priulla e Gasparrini, i cui testi sono di grande ispirazione per il nostro lavoro clinico. Ne emerge un confronto molto interessante: se io donna mi narro come non denigrata o sottovalutata, io esisto creando per me un percorso di autodeterminazione fatto di una ribellione non violenta. Le parole che dobbiamo dire allora sono “No, così non va bene”.

Allo stesso tempo è essenziale un altro punto: donne e uomini devono assumersi la responsabilità delle parole e delle comunicazione che essi/esse producono sui generi, ogni giorno. La colpa di un femminicidio è del singolo che lo commette, ma la responsabilità di come ci poniamo e raccontiamo il fenomeno violenza di genere è di tutti/tutte. Come definiamo un evento/una realtà influenza molto il modo in cui esso/essa si sostanzia, il peso che gli diamo: come nominiamo una donna (noi stesse e/o le Altre) racconta cosa ne pensiamo di lei e cosa ci aspettiamo che lei sia.

Rivolgendosi alle donne, Michela Murgia dice:

“Il linguaggio è un’infrastruttura culturale che riproduce rapporti di potere. L’imposizione del cosiddetto maschile universale è un modo per dire che state occupando abusivamente il posto di un uomo, ma che questa anomali durerà talmente poco che non vale nemmeno la pena di trovare una parola esatta che la definisca. Alcune di queste donne, convinte che “i problemi siano altri”, hanno rinunciato alla pretesa di vedersi declinare la carica secondo il proprio genere, salvo poi verificare a loro spese che dietro il rifiuto di rispettare la grammatica si nascondeva (nemmeno troppo bene) il rifiuto di rispettare loro”. (“Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più”, Einaudi Editore).

Fateci sapere cosa ne pensate.

Arca

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