La violenza può annientare una donna: le può far percepire uno stato profondo di solitudine; può essere un attacco alla sua autostima; può esacerbare problematiche emotive pre-esistenti; può farle perdere risorse economiche; può isolarla concretamente da affetti, possibilità, lavoro.
La violenza può assumere la forma di intrusione costante e manipolatoria, nei luoghi in cui la ragazza e la donna si formano, si specializzano, lavorano. Quest’ultime possono finire per credere che l’accesso a certi gradi di formazione o ad alcune posizioni lavorative siano a loro “naturalmente” proibite. In realtà, questi sbarramenti puramente culturali sono frutto di stereotipi e di aspettative svalutanti verso le donne stesse:
“La metafora che viene usata è quella del glass ceiling (soffitto di cristallo), una barriera invisibile sulla testa delle donne che impedisce loro di accedere alle cariche più alte”. (Maria Anna Di Gioia, “Com’è l’acqua. Riconoscere ogni giorno il mare invisibile del patriarcato”, Edizione Settenove).
La non parità di diritti, nell’accesso a certe aree delle aziende e a posizioni apicali, crea una forma profonda di discriminazione che di fatto potrebbe compromettere l’avvio o la continuità della carriera di una donna: un soffitto sempre più asfissiante, creato da uno stereotipo tutto maschile e patriarcale, su cui la donna batte la testa quotidianamente.
La violenza fatta di parole discriminatorie, stereotipate, velate e non, può avere un potere distruttivo e destrutturante nel processo di crescita personale, formativo e professionale di una donna: .
“Quando si urla a una donna che è una troia […], non lo si fa per avere una risposta. Nell’offendere non c’è nessun argomento, nessuna idea. Il fine è solo ferire l’altro. L’ingiuria, scagliata contro l’interlocutore, lo offende nel profondo con parole intese a porre fine a ogni discussione o argomentazione”
[…] Nell’immagine stereotipata agisce un codice potente che influisce sulla formazione delle identità e delle stesse capacità delle persone, e riesce ad inibire potenzialità insite negli individui, con la conseguente amputazione della personalità. La lingua non serve solo a scambiare informazioni o ad ottenere qualcosa: è anche luogo di affermazione di sé. Aiuta o deprime l’autostima. Se il linguaggio ci nomina in modo perverso ci cancella anche rispetto a noi stessi”. (Graziella Priulla, Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo. Edizione Settenove).
QUALI PAROLE DIRE SUGLI EFFETTI DELLA VIOLENZA?
Ci siamo chieste, in questa IV Edizione delle #NoViolenceWeeks, come raccontare gli effetti che la violenza produce sulle donne nella loro formazione, nella ricerca del lavoro, nelle attività quotidiane e nel corso della loro carriera.
Abbiamo pensato di immaginare e condividere delle vignette cliniche,
chiedendovi di immedesimarvi nelle donne raccontate: siete voi o vi è capitato di sentirvi come loro? Se a leggerci sono uomini, vi chiediamo uno sforzo empatico più profondo: se voi foste al posto di queste donne, cosa provereste?
CASO 1: Laureata in Ingegneria.
Alessia per diversi anni segue il Corso di Laurea in Ingegneria: durante lezioni, approfondimenti teorico-pratici ed esami, raccoglie stupore da parte dei docenti sul fatto che una donna frequenti quella Facoltà. Durante le prove di valutazione intercetta battutine, frasi sessiste e avances. Una volta laureata ha la possibilità di effettuare uno stage, presso una grossa azienda multinazionale. E’ sposata. Al colloquio, il Responsabile delle risorse umane le pone diverse domande sul ruolo per cui Alessia sta proponendo la sua candidatura. Il Selezionatore, vedendo la fede al dito, le chiede che progetti ha per il futuro, visto che in azienda possono essere previste missioni fuori sede ed in zone altamente rischiose del mondo. Alessia, consapevole dei suoi diritti, non fa riferimento diretto alla sua vita privata, ma si dice disponibile a trasferte.
Il Selezionatore sceglie Alessia ed un altro laureato, tra i e le candidati/e presenti, per il secondo step di colloqui, quello con il Direttore: Alessia viene fatta accomodare nella stanza del Direttore con la frase “Segretaria, prima le donne: faccia accomodare la Signora”. Il laureato viene accolto in stanza con la frase “Si accomodi Dottore”.
Alessia viene assunta. Il Direttore non è convinto sulla reale e futura disponibilità di Alessia, in situazione dure e sfidanti, ma pensa che possa esser utile inserirla nel team, per avere una “quota rosa” che renda il clima generale, prettamente maschile, più accogliente.
CASO 2: Impiegata presso azienda.
Rita è una donna di 35 anni che, dopo diversi contratti precari o a tempo determinato, riesce ad accedere ad un’azienda del settore privato, a cui puntava da tempo. L’attività lavorativa quotidiana la porta a collaborare spesso con i sindacati: Rita scopre che esiste una differenza tra il salario medio, percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini, a parità di performance e responsabilità. Riconosce la profonda diseguaglianza, ma non riesce a comprendere cosa si possa fare per cambiare lo stato attuale delle cose: si confronta, in famiglia con padre, fratelli, zii tutti occupanti da anni posizioni lavorative diverse, nel settore privato. Parla anche con donne della rete di riferimento: molte, non hanno mai lavorato o hanno dovuto lasciare la loro occupazione, dopo esser diventate mamme.
Il quadro che ne esce è chiaro: le cose sono sempre state così, qualcosa in Italia si sta facendo, ma di fatto le donne sono più votate al sacrificio, alla cura della casa e della famiglia. Quindi è “naturale” che vengano anche assunte in minor quota o pagate meno. Rita è rassegnata e smette di informarsi, lottare.
CASO 3 Donna libera professionista.
Patrizia è una professionista del settore design. Ha una partita iva ed uno spazio che ha affittato, con non pochi sacrifici economici personali. E’ riuscita ad accedere ad alcuni fondi regionali per l’imprenditorialità femminile. Ottiene contratti di collaborazione, tiene corsi di formazione, viaggia e apre una seconda sede per le sue attività. Assume una figura segretariale e, per il mantenimento del suo sito internet, una persona che si occupa dell’aggiornamento dei contenuti. Patrizia ha un incidente ed è costretta a fermarsi per un lungo periodo: le spese per la cura e la riabilitazione sono tante, solo alcune sono coperte da un fondo pensionistico privato che aveva sottoscritto.
Patrizia, a fatica, riesce a tornare in pista: i clienti, che precedentemente l’avevano contattata per alcuni lavori, non sono soddisfatti della lunga pausa per motivi di salute. i committenti che l’avevano scelta non la ritengono più “cazzuta” come un tempo: un uomo, al posto suo, non si sarebbe fermato per così tanto tempo, ma piuttosto avrebbe resistito. Si sa, le donne sono così: fragili e non idonee a ruoli da libere professioniste, su di loro non si può mai contare fino in fondo.
Patrizia incalza, non molla, ostinata e contraria: di certo “avrà il ciclo”, è emotiva ed imprevedibile nei suoi “nervosismi”. Non è più una professionista di cui fidarsi.
CASO 4: Aggressione sessuale da Dirigente
Clara è la segretaria di direzione all’interno di una azienda nazionale dei trasporti, da ormai 3 anni. Ha 30 anni ed esperienze internazionali di lavoro alle spalle. Il suo full time prevede diverse ore di straordinario, regolarmente retribuito, che spesso riguardano anche i giorni festivi. E’ molto soddisfatta della sua posizione, del rapporto con i/le colleghe, con tutto il management: ha anche la responsabilità di una risorsa, che dipende da lei.
Una sera, a conclusione di una lunga riunione tra Quadri e Dirigenti, il Capo di Clara, che si è sempre mostrato gentile e attento alle sue esigenze ma allo stesso tempo in grado di valorizzare competenze e conoscenze di lei, si offre di accompagnarla al garage sotterraneo per riprendere la sua auto. Clara accetta con sollievo: le è già capitato in passato di subite molestie verbali, in luoghi bui e isolati della città. Con il suo Capo sarà al sicuro: presto però Clara scopre che le cose non stanno così. Lui si avvicina improvvisamente e la assale: “So che lo vuoi anche tu, ho visto come mi guardi ogni giorno. Me lo devi per tutto quello che ho fatto per te”. Per Clara, è l’inizio di un momento sospeso, tra dentro e fuori il suo corpo.
L’indomani Clara non riesce a presentarsi alla sua scrivania, non sa cosa fare: ne parla con le sue più care amiche, che la convincono a sporgere immediata denuncia. Clara sa che è la decisione più giusta, ma ha una terribile certezza: non mi crederanno e, così, perderò il lavoro.
Nessun uomo può capire fino in fondo come una donna si possa sentire in pericolo ed estranea, anche se si muove in un luogo (di lavoro e non) o a contatto con persone che conosce da tempo. Ma ogni uomo può provare a pensarci.
…Se voi foste al posto di queste donne, cosa provereste?
Arca.